Dr. Gaetano Rizzi
Specialista in Neurochirurgia

CURRICULUM VITAE

PATOLOGIE TRATTATE

Le patologie più frequentemente trattate sono:

  • patologie degenerative (discopatie, ernie discali, mielopatie spondiloartrosiche);
  • patologie traumatiche acute ed esiti di fratture e instabilità vertebrali;
  • patologie neoplastiche con ricostruzione dei corpi vertebrali.

PATOLOGIE DEL RACHIDE LOMBOSACRALE

Le patologie più frequentemente trattate sono:

  • lombosciatalgia da ernia discale lombare
  • stenosi lombare
  • spondilolistesi lombare
  • lombalgia da discopatie lombari degenerative
  • fratture vertebrali traumatiche ed osteoporotiche
  • scoliosi lombare dell’adulto

La Neurochirurgia dei nervi periferici è la branca chirurgica che tratta le patologie a carico dei nervi periferici, che rappresentano il prolungamento delle vie nervose che si originano nella corteccia cerebrale per poi transitare nel midollo spinale.

Le più frequenti sindromi canalicolari sono la sindrome del tunnel carpale cioè la compressione del nervo mediano al polso e la compressione del nervo ulnare al gomito.

TRATTAMENTI CHIRURGICI

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Microdiscectomia lombare

Il paziente, in anestesia generale, viene messo in posizione genu-pettorale sul letto operatorio e viene eseguito un repere radiologico con amplificatore di brillanza per identificare con precisione il disco da trattare. Viene quindi eseguita un’incisione cutanea (circa 3 cm) e della fascia muscolare sottostante e si scollano senza sezionarli i muscoli paravertebrali ottenendo in questa maniera una scheletrizzazione delle emi-lamine delle vertebre sovra e sottostante il disco interessato. Si posiziona quindi un divaricatore autostatico. A questo punto, grazie all’utilizzo del microscopio operatorio (che garantisce la contemporanea visione dei due chirurghi, con una potente fonte luce – Laser-Xenon) viene eseguita una modesta emilaminectomia mediante pinze Kerrison e asportazione del ligamentum flavum (flavectomia), fino all’esposizione dello spazio epidurale, con una variabile quantità di grasso che ricopre il sacco durale e la radice nervosa. Una volta evidenziata la radice nervosa, questa viene protetta e delicatamente retratta in modo da evidenziare e isolare, grazie all’utilizzo di un dissettore, l’ernia discale. Previa cauterizzazione dei piccoli vasi dello spazio epidurale, si procede con l’asportazione dell’ernia discale e dei suoi eventuali frammenti espulsi. Nel caso in cui si evidenzia la porzione alterata di anulus da cui è erniato il disco o che questo presenti importanti segni di degenerazione si prosegue con un’accurata discectomia con asportazione del nucleus polposus. Completata la discectomia si ispeziona il decorso della radice nervosa nel forame di coniugazione ed eventualmente si completa la decompressione radicolare. In caso di ernie discali intra- e/o extra-foraminali (15% circa) l’approccio prevede un’esposizione più ampia della lamina sovrastante il disco interessato. Con l’aiuto di un trapanino ad alta velocità e l’utilizzo di pinze Kerrison viene erosa la porzione supero-laterale della lamina esposta e quindi si completa la rimozione de legamento giallo fino ad avere un’esposizione adeguata della radice nervosa nel suo tratto intra- extra-foraminale. Quindi si procede come precedentemente descritto. Questo approccio permette agevolmente di eseguire anche la discectomia. Se l’ernia è molto grande ed ha causato un’insufficienza funzionale del disco e quindi una microinstabilità del segmento vertebrale, con un modesto ampliamento dell’incisione, si può procedere al posizionamento di un dispositivo di artrodesi interspinosa che limita le possibilità di recidiva dell’ernia. L’approccio microchirurgico garantisce una pronta remissione della sintomatologia algica, e consente una pronta mobilizzazione del paziente già dopo poche ore dall’intervento, con dimissioni possibili già il giorno dopo l’intervento chirurgico.

Artrodesi lombosacrale

La stabilizzazione lombare open e percutanea è indicata per il trattamento di uno spettro di patologie degenerative della colonna vertebrale incluse la stenosi del canale lombare, la spondilolistesi lombare, l’instabilità vertebrale post-chirurgica e quadri di ernie del disco recidive legate a una condizione di instabilità vertebrale. Un intervento tradizionale di fusione lombare intervertebrale posteriore (PLIF - Posterior Lumbar Interbody Fusion) viene eseguito mediante un’incisione cutanea sulla schiena di circa 6-7 cm per singola unità funzionale da trattare. Vengono posizionate delle delle viti peduncolari nelle vertebre, connesse mediante delle barre. Si effettua una discectomia (asportazione del disco intervertebrale) posizionando due protesi intervertebrali che ripristinano la fisiologica angolazione e distanza tra i corpi vertebrali. Tuttavia per ottenere l’esposizione necessaria all’intervento i muscoli posteriori della colonna vengono incisi e divaricati in maniera estesa producendo maggiori perdite di sangue durante l’intervento, dolore muscolare post-operatorio e tempi di ricovero relativamente più lunghi. Al contrario l’intervento di stabilizzazione lombare circonferenziale mininvasiva prevede il posizionamento di viti secondo una traiettoria che riduce drasticamente la necessità di divaricare il muscolo lateralmente oltre la faccetta articolare, richiedendo quindi un’incisione cutanea più piccola (circa 3,5 centimetri per unità funzionale da trattare contro i 6/7 cm necessari per un intervento tradizionale . Il disco intervertebrale malato viene rimosso e sostituito con delle protesi. Ciò consente di minimizzare il danno muscolare causato dall'intervento, riducendo il dolore post operatorio, garantendo una più precoce mobilizzazione (in prima giornata post operatoria il paziente può deambulare autonomamente senza difficoltà) e un recupero funzionale rapido.

Microdiscectomia lombare per via endoscopica

L’intervento chirurgico consiste nell’asportazione del frammento erniario espulso attraverso uno strumentario endoscopico di pochi millimetri, sotto visione HD e lavaggio continuo, che viene delicatamente posizionato per via percutanea, senza nessun trauma delle strutture muscole-tendinee, direttamente all’interno del canale vertebrale. Così si riesce sotto ad una chiara visione anatomica a liberare le strutture nervose compresse dall’ernia in modo preciso, “mirando” il bersaglio. La procedura può essere svolta in anestesia generale o anche in sedoanalgesia e permette di trattare con la stessa sicurezza anche pazienti obesi. Il rischio emorragico peri-postoperatorio è praticamente virtuale. Il rispetto di queste strutture anatomiche è ciò che permette il rapidissimo recupero post-chirurgico, per cui con la tecnica endoscopica, oltre alla risoluzione del dolore dovuto alla rimozione della ernia discale, si è raggiunto un tempo di ricovero inferiore alle 24 ore ed un più precoce rientro alle mansioni lavorative, con una media di convalescenza post-chirurgica di 7 giorni, un periodo di tempo inferiore di circa il 75% rispetto alla convalescenza media in caso di microdiscectomia.

Artrodesi Cervicale Anteriore e Posteriore

L’artrodesi cervicale o delle vertebre cervicali è una procedura chirurgica che consente di unire le ossa del tratto più alto della colonna vertebrale. È particolarmente indicata quando il paziente soffre di ernia del disco cervicale, mielopatia, stenosi cervicale, spondilosi cervicale, tumori, infezioni, traumi e deformazioni di varia natura.Come si esegue l’artrodesi delle vertebre cervicali? Dato che l’intervento si esegue in anestesia generale, nelle ore precedenti il paziente deve seguire accuratamente le indicazioni di digiuno. Il neurochirurgo, secondo il problema da trattare, la conformazione della colonna, la zona del rachide cervicale e l’eventuale instabilità, sceglie l’approccio più adatto al paziente: anteriore o posteriore oppure, più raramente, combinato (entrambi). La chirurgia, generalmente, consiste in una fase di decompressione del sistema nervoso ed in un’altra fase di fissazione vertebrale (artrodesi) ed eventuale correzione di deformazione. L’obiettivo a lungo termine è che l’unione delle ossa sia stabile. L’artrodesi cervicale può quindi essere eseguita per via anteriore, dunque dal lato anteriore del collo, e per via posteriore. Entrambe, del resto, hanno pro e contro in eguale misura: se l’artrodesi cervicale per via anteriore consente al neurochirurgo di monitorare efficacemente la compressione radicolare (nervi cervicali) e midollare e porta a un decorso più rapido e confortevole, quella per via posteriore, anche se con tempi di ricovero un po’ più lunghi, implica meno rischi per viscere, vasi sanguigni e nervo laringeo ricorrente. Inoltre, per tenere sotto controllo la funzione vescicale e quella nervosa, è possibile applicare al paziente catetere ed elettrodi. Discectomia e artrodesi anteriore Il neurochirurgo esegue un’incisione orizzontale o longitudinale sul collo e procede con una discectomia (asportazione di un disco cervicale). Una volta effettuata la discectomia, apre il canale cervicale e i forami laterali, togliendo gli eventuali osteofiti (becchi di artrosi) e l’eventuale ernia o protrusione discale, permettendo di liberare il midollo spinale e i nervi cervicali. È possibile poi inserire impianti in titanio o non metallici, come cage, placche, plate-cage fissati tramite viti. In alternativa all’introduzione di impianti, è quindi possibile prelevare materiale, in genere dalla cresta iliaca o da alcuni elementi vertebrali (processi spinosi e lamine), ed eseguire un innesto osseo. Un’altra soluzione prevede di utilizzare materiale di origine sintetica. Durante l’operazione, che in genere dura dai 30 ai 90 minuti per un artrodesi mono-livello, si può intervenire anche su più vertebre. Laminectomia e artrodesi posteriore Il neurochirurgo esegue un’incisione longitudinale dietro al collo, scolla e sposta i muscoli che reggono la testa e procede generalmente ad una laminectomia (asportazione della parte posteriore delle vertebre cervicali), permettendo di aprire la metà posteriore del canale cervicale e quindi di liberare il midollo spinale. La fase di artrodesi consiste ad avvitare la parte posteriore delle vertebre e di unirle collegando le viti con delle barre di titanio, precedentemente conformate secondo la scelta del chirurgo. L’intervento, in genere, dura dai 60 minuti alle 4 ore secondo il numero di vertebre su quale intervenire. Artrodesi cervicale: rischi e post-operatorio Subito dopo l’operazione, il paziente deve restare a letto per qualche ora in osservazione e potrà in seguito alzarsi tranquillamente. Nei giorni seguenti, verranno attentamente monitorate la situazione neurologica e la guarigione della ferita, per evitare possibili infezioni. Sarà realizzata una radiografia o una TAC di controllo postoperatorio. Data la natura dei due approcci di artrodesi cervicale, per via anteriore o posteriore, le possibili complicanze variano in base alla scelta. Dopo un’artrodesi cervicale per via anteriore le complicazioni possono essere danni alle arterie, danni all’esofago, disfonia (disturbo della voce), disfagia (disturbo alla deglutizione)… È inoltre da ricordare che gli impianti metallici possono essere vittime di rotture o malposizionamento e a lungo termine il paziente puo’ sviluppare un “adjacent segment”, un’usura dei segmenti adiacenti. Come si è accennato, anche artrodesi cervicale e convalescenza si relazionano diversamente a seconda della tecnica usata: quella per via anteriore richiede un ricovero più corto e i tempi di recupero sono più veloci, al contrario di quanto accade per l’artrodesi per via posteriore, che può avere come conseguenza dolori post-operatori più intensi. Dopo un intervento di artrodesi cervicale, la riabilitazione può prevedere che il paziente indossi per pochi giorni un dispositivo di supporto, come un collare cervicale. In altri casi, saranno sufficienti il riposo e l’attenzione a non muovere repentinamente il collo. E’ importante rispettare le consegne che vietano di portare carichi o di effettuare sforzi sul rachide cervicale in flessione/ estensione. La fisioterapia di riabilitazione muscolare è consigliata dopo qualsiasi chirurgia del rachide, generalmente non prima di 4-8 settimane.

Vertebro e Cifoplastica Percutanea

Sono tecniche per il trattamento delle fratture vertebrali con un breve tempo chirurgico che consistono nell'iniezione attraverso l'introduzione di due cannule, con tecnica percutanea e sotto controllo radiologico, di materiali radiopachi di riempimento osseo (filler) all'interno della vertebra (vertebral augmentation) anche a più livelli. La vertebroplastica prevede l'introduzione diretta di un cemento di ultima generazione ad alta viscosità o di silicone medicale che andrà a riempire la vertebra conferendole solidità ed eliminando i micro movimenti all'origine del dolore. La cifoplastica prevede l'utilizzo di un palloncino che, inserito nella vertebra, viene gonfiato e ne ripristina l'altezza creando una cavità che verrà poi riempita dal cemento o dal silicone medicale.sito-cifo1Questi materiali dovrebbero avere caratteristiche biomeccaniche più simili possibile a quelle dell’osso. I materiali possono essere cementi ossei o silicone medicale. Tra i cementi ossei il più usato è il polimetilmetacrilato (PMMA), una resina acrilica che durante la polimerizzazione ha una reazione esotermica ed ha un modulo di elasticità molto superiore all’osso. Può essere classificato in base alla sua viscosità in PMMA a bassa, media ed alta viscosità. I cementi ad alta viscosità riducono il rischio di fughe (stravaso) del cemento. Il silicone medicale è un nuovo polimero a base di silicone senza reazione esotermica e con modulo di elasticità minore del PMMA e quindi più vicino a quello dell’osso.L'introduzione di questi materiali determina una stabilizzazione meccanica delle microfratture vertebrali che sono all’origine della sintomatologia dolorosa. Il paziente può alzarsi dopo poche ore dall'intervento e ritornare rapidamente alla normale attività quotidiana. Le fratture vertebrali possono essere di natura osteoporotica, post-traumatica (fratture stabili tipo A secondo la classificazione di Magerl) secondarie a neoplasie vertebrali primarie (neoplasie ematologiche come mieloma multiplo, linfoma ed emangioma vertebrale) o secondarie (metastasi con lesioni litiche). Le più frequenti fratture sono quelle osteoporotiche legate ad una osteoporosi primaria o secondaria in seguito a terapia cronica cortisonica, insufficienza renale cronica, o prolungata immobilizzazione. L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una progressiva perdita quantitativa e qualitativa del tessuto osseo che diventa più fragile aumentando i rischi di frattura anche per traumi lievi. In Italia una donna su tre ed un uomo su dieci di età superiore ai 50 anni ne soffrono.

Decompressione del Nervo Mediano

La sindrome del tunnel carpale è una neuropatia dovuta all’irritazione o alla compressione del nervo mediano nel suo passaggio attraverso il canale carpale. Questo è una cavità localizzata a livello del polso. In posizione anatomica abbiamo posteriormente le ossa carpali e anteriormente il legamento trasverso del carpo. Nel tunnel così formato passano, oltre al nervo mediano, vene e i tendini dei muscoli flessori delle dita. La sindrome è dovuta più frequentemente all’infiammazione cronica della borsa tendinea dei flessori (tenosinovite), che comprime il nervo mediano. Può manifestarsi in corso di gravidanza, nei soggetti affetti da ipertiroidismo e nei soggetti affetti da connettiviti (es. artrite reumatoide). Sono più frequenti nei soggetti che utilizzano le mani per lavori di precisione e tipicamente ripetitivi. L’intervento L’intervento può essere praticato ambulatorialmente , in anestesia locale e in una alta percentuale di casi porta ad un beneficio pressoché immediato. Si pratica un’incisione di circa 2 cm al palmo attraverso la quale si interrompe il legamento traverso del carpo e si provvede a liberare dall’esterno il nervo mediano. L’atto chirurgico interrompe la compressione sul nervo determinando immediatamente un sollievo alla sintomatologia. L’intervento dura pochi minuti per cui il paziente può essere dimesso subito dopo l’uscita dalla sala operatoria

Radiofrequenze intradiscali lombari

La radiofrequenza pulsata rappresenta una nuova tecnologia nel trattamento del dolore acuto e cronico. La sua applicazione avviene in regime ambulatoriale ed è miniinvasiva. Un fine ago, detto cannula, del diametro di 0,7 mm viene introdotto dopo anestesia locale della pelle e con l’aiuto della radioscopia, in rari casi della Tac, verso il nervo o la struttura, che si desidera trattare. Nella cannula viene introdotto un filo metallico, detto elettrodo, collegato al generatore di radiofrequenza attraverso il quale fluisce una corrente, non percepita dal paziente, che ha la medesima frequenza delle onde radio. E’ recentissimo l’uso di cannule con elettrodo integrato o monouso. La corrente di radiofrequenza genera un campo elettrico, che, attraverso vari meccanismi di natura biomolecolare, porta ad una diminuzione sostanziale o alla scomparsa del dolore. Le temperature misurate durante il trattamento non superano mai i 41°C e quindi escludono la possibilità di creare danni anche minimi. Nel corso degli anni dalla sua prima applicazione nel 1996 il trattamento per radiofrequenza pulsata è notevolmente evoluto e viene praticato in tutto il mondo. Sono stati sviluppati nuovi generatori, che permettono il trattamento di più nervi contemporaneamente, accorciandone notevolmente la durata. Il metodo viene generalmente usato per curare dolori in relazione a patologie della colonna vertebrale e dei nervi cranici e periferici. Recentemente il suo uso è stato ampliato al trattamento di dolori provenienti da altre strutture, che la colonna vertebrale.

SEDI IN CUI ESPLICA ATTIVITA' CHIRURGICA

La chirurgia deve essere sempre l’ultima risorsa, quando si tratta di curare le condizioni della colonna vertebrale, del collo e della schiena.

Tuttavia, se diversi trattamenti conservativi sono stati tentati senza miglioramento o peggioramento nel corso di un periodo di 2-3 mesi, il trattamento chirurgico diventa una soluzione ragionevole, soprattutto per alcune condizioni specifiche come la stenosi spinale, la sciatica, la scoliosi o la spondilolistesi degenerativa, la mielopatia cervicale e le ernie discali cervicali. La decisione per un intervento chirurgico deve essere individuata per il paziente in base ai sintomi del paziente, insieme con il loro livello di funzione.

Per la decisione della migliore opzione chirurgica per il singolo paziente è necessario disporre degli esami radiologici come la risonanza magnetica, la TAC o la radiografia e, talora, di esami come l’elettromiografia, la scintigrafia ossea, eccetera.

In generale, la chirurgia mini invasiva riduce la degenza della metà. Ad esempio, per gli interventi di ernia del disco o di frattura vertebrale, nella maggior parte dei casi, i pazienti possono tornare a casa il giorno dopo.

Diversamente, per gli interventi con la chirurgia tradizionale “a cielo aperto”, il paziente va di solito a casa in 3-4 giorni.

E’ possibile che quando si utilizzano tecniche mini-invasive, che l’immediato periodo post operatorio sia caratterizzato da dolore molto meno intenso e da limitazioni funzionali decisamente meno severe.

La decisione di tornare al lavoro deve essere programmata per il singolo paziente.Per i pazienti con lavori sedentari, come ad esempio il lavoro d’ufficio, una discectomia mini invasiva permette di riprendere l’attività entro 1-2 settimane. Per un intervento più ampio, come una fusione, questo può richiedere 4-6 settimane.

La maggior parte dei pazienti sono in grado di alzarsi dal letto e iniziare a camminare subito dopo l’intervento chirurgico, di solito il giorno stesso o quello successivo. Per le prime 6 settimane, il livello di attività è limitata a camminare e alle normali attività quotidiane.La maggior parte dei pazienti sono incoraggiati ad evitare sollevamento di carichi pesanti, frequenti flessione, torsione o rotazione o salire durante il primo periodo di 6 settimane. Dopo 6 settimane, i pazienti che iniziano una terapia fisica e un programma di esercizio per ottenere un rapido recupero e la forza.Entro 3 mesi, è possibile aumentare gradualmente le normali attività quotidiane e svolgere attività sportive a basso impatto. A 6 settimane, tutte le attività possono essere iniziate, compresa quella sportiva.

Solo nei primi 3-5 giorni del post operatorio.

La chirurgia spinale mini invasiva promette risultati significativi, in termini di minor dolore e recupero più rapido.

Tuttavia, è importante tenere a mente che tutte le nuove tecniche mini invasive richiedono un lungo periodo di formazione del chirurgo per evitare le complicazioni.

Tali complicazioni possono includere decompressione inadeguata, lesioni nervose, infezioni o dolore persistente. Tuttavia, questi sono tutti i rischi che sono associati anche alla chirurgia a cielo aperto.

Occasionalmente, a causa della complessità e della difficoltà tecnica della chirurgia mini-invasiva, l’intervento può richiedere un periodo di tempo più lungo per essere completato.

L’esperienza del chirurgo deve portare alla scelta migliore del tipo di intervento da effettuare per ogni singolo paziente con un opzione preferenziale, ove possibile, per gli interventi di chirurgia mini invasiva.

TRATTAMENTI CHIRURGICI EFFETTUATI

CHIRURGIA DEL RACHIDE CERVICALE
CHIRURGIA DEL RACHIDE LOMBOSACRALE
CHIRURGIA DEI NERVI PERIFERICI
FRATTAURE VERTEBRALI TRAUMATICHE ED OSTEPOROTICHE
DEGENERAZIONE DEI DISCHI INTERVERTEBRALI
RADIOFREQUENZE INTRADISCALI
CHIRURGIA ENDOSCOPICA DELLE ERNIE DEL DISCO LOMBARE
CHIRURGIA DEI TRAUAMI CRANICI
CHIRUGIA DELLE NEOPLASIE CEREBRALI
POSIZIONAMENTO DISPOSITIVI INTERSPINOSI
ALTRE PATOLOGIE NEUROCHIRURGICHE
Oltre
PAZIENTI TRATTATI

Cosa si intende per prima visita neurochirurgica?

La prima visita neurochirurgica consiste in una visita in cui si presenta il caso con caratteristiche di patologia neurochirurgica cranica o spinale, si valuta se vi sia un’indicazione ad intervento chirurgico o ad altre terapie, se siano necessari altri tipi di esami o se vi siano già segni, sintomi e dall’analisi della radiologia, se vi sono le indicazioni chirurgiche, si spiega il tipo di patologia e si spiega l’eventuale intervento chirurgico.

Si svolge in ambulatorio, dopo la storia anamnestica e dopo aver preso visione degli esami neuroradiologici che di solito sono abbastanza completi in quanto il medico di base ha già completato tale fase. Si compie un esame neurologico specifico per patologia spinale o per patologia cranica andando a cercare segni e sintomi specifici neurologici tipici di alcune malattie sia a scopo di diagnosi che di diagnosi differenziale.

Si discute con il paziente circa le indicazioni chirurgiche, le indicazioni ad altre terapie o ad altri esami diagnostici di approfondimento

La Mission

La Neurochirurgia è quella branca della medicina che si occupa della diagnosi e della terapia, sia farmacologica che chirurgica, di tutte quelle patologie del sistema nervoso centrale e periferico, ovvero le malattie legate a cervello, alla colonna vertebrale e nervi cranici periferici.

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